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Il ritorno in ufficio fa paura

Un eventuale rientro nei luoghi di lavoro prima che il virus venga debellato provocherebbe incubi in molti smart worker. Lo afferma l'Osservatorio Nomisma, commissionato da Unisalute. Ecco i timori più diffusi

Pubblicato il 02 settembre 2020 da redazione

Datori di lavoro che, invece di dotare i dipendenti di mascherina ogni giorno, lo fanno ogni settimana. Viaggiatori che salgono sui mezzi senza i dispositivi di protezione, mettendo in gravissimo pericolo tutti gli altri. Pedoni (rigorosamente senza mascherina) che tossiscono a mezzo metro dalle altre persone e non fanno neppure la fatica di coprirsi la bocca. Colleghi poco attenti ai protocolli e distanziamenti sociali in azienda che "saltano" come birilli. Ci sono anche questi pessimi esempi, nei luoghi della nostra quotidianità e negli ambienti di lavoro. Casi fortunatamente minoritari, ma esistenti e provati, potenti alleati del virus e della sua lotta contro la vita e la salute degli esseri umani. E che si moltiplicheranno se chi attualmente lavora da casa dovesse essere costretto a tornare in ufficio - decisione di per se stessa incomprensibile, in un mondo dove il remote working ha tenuto molto bene e dove il virus circola (e uccide) ancora.

Ma quanti sono i lavoratori che davvero hanno paura? E che cosa temono maggiormente? A questa domanda prova a rispondere l'Osservatorio Nomisma (The world after lockdown), commissionato da Unisalute.

Ed ecco la prima risposta: in generale, per il 32% degli intervistati (non solo remote worker), il ritorno al luogo di lavoro è stato motivo di paura e spaesamento. Percentuale che si alza al 46% per chi, in questi mesi, ha lavorato da casa e vive molto male l'eventuale rientro alla base. In particolare, il 45% teme che i colleghi non rispettino i protocolli di sicurezza e il 31% di essere contagiati mentre si va a lavorare.

Le richieste dei dipendenti alle imprese sono varie: dal rispetto dei protocolli di sicurezza (68%) alla possibilità di effettuare velocemente test sierologici (58%) o tamponi (57%), dalla possibilità di effettuare un teleconsulto medico (46%) alla possibilità di ricevere i farmaci a domicilio in caso di malattia (43%).

E le imprese? Secondo Nomisma, non soddisfano queste richieste: solo il 27% dei dipendenti lavora in un'impresa che ha offerto test sierologici rapidi ai dipendenti (la percentuale è del 26% per i tamponi), mentre il 21% mette a disposizione i videoconsulti e il 20% i teleconsulti; solo il 19% dei lavoratori, infine, può accedere alla consegna delle medicine a casa.

 

Tag: smart working, videoconsulti, Nomisma, coronavirus, Covid-19, emergenza-coronavirus, teleconsulti, remote working, lockdown, medicine, tamponi, test sierologici, Osservatorio Nomisma, The world after lockdown

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