L’ex Noseda: “ecco perché Skype chiude”
5 Maggio 2025
L’opinione dell’esponente di Cariplo Factory, che nel software di videochiamate ha lavorato per dieci anni

Oggi Skype chiude, assorbito da Teams. Ma quali sono i motivi che hanno portato il software per le videochiamate alla fine della sua parabola?
Alla domanda prova a rispondere Enrico Noseda, chief innovation advisor di Cariplo Factory, che in Skype ha lavorato, con la carica di global head of product business development. “Ripercorrere la sua parabola, in questo particolare momento storico, può aiutare a comprendere i motivi profondi che hanno portato Skype a nascere, crescere e raggiungere una crescita esponenziale partendo dall’Europa”, dice Noseda, “salvo poi non riuscire a trovare le condizioni favorevoli per rimanere un asset del vecchio continente. Più che un esercizio nostalgico, ripercorrere i principali momenti del successo – e dell’improvviso declino – di Skype può essere utile affinché la prossima bigtech europea possa rimanere tale anche negli anni a venire”.
Chiamate gratuite
Noseda torna indietro “di almeno 20 anni”, senza rinunciare a ricordi personali. Quando cioè fu assunto “in un ufficio londinese come general manager di Skype per l’Italia: era il 2006 quando sentii per la prima volta il fondatore Niklas Zennström dichiarare al resto del team che le chiamate telefoniche sarebbero diventate, di lì a pochi anni, “gratuite, per tutti, in tutto il mondo”. Grazie a un sistema di chiamate on line basate su un network peer to peer, Skype stava diventando per le telco quello che Napster era stato, solo pochi anni prima, per il settore musicale: uno strumento in grado di mettere in contatto direttamente tra loro persone scambiando dati peer to peer, servendosi solo di un computer e di una connessione a internet”.
I primi passi
Fin dai primi giorni del lancio, avvenuto nel 2003, “Skype aveva radicalmente trasformato il modo in cui le persone si relazionavano le une alle altre”, ricorda Noseda. “Se ritorno con la mente a quegli anni non posso fare a meno di ricordare gli ostacoli che gravavano su chiunque si trovasse nella mia stessa condizione di allora: quella di migrante, costretto a fare i conti con i costi esorbitanti delle chiamate internazionali per poter rimanere in contatto con la famiglia rimasta nel paese d’origine. Skype, nella sua incredibile semplicità d’uso, ha permesso a centinaia di milioni di lavoratori, di studenti e ricercatori all’estero di rimanere in contatto gratuitamente, in tutto il mondo”.
Rapida progressione
Oltre “diecimila i download nel primo giorno”, prosegue Noseda, “oltre 10 milioni gli utenti un anno dopo dal lancio, oltre 660 milioni appena qualche anno dopo, fino a raggiungere una quota di mercato del 40% delle chiamate internazionali del pianeta. Con l’introduzione delle videocall nel dicembre 2005 Skype ha trasformato gli standard di comunicazione globali: di fronte a questi numeri esponenziali ho provato più e più volte la sensazione – nel mio ruolo di responsabile dello sviluppo nel mercato Emea e, in seguito, del business development globale – di star cambiando in meglio la vita di un numero enorme di persone, ogni giorno, qualunque cosa decidessimo di fare. Effetto network, gratuità del servizio, estrema attenzione all’utilizzabilità del prodotto sono stati per anni le leve principali con cui Skype ha rinnovato dalle basi il mondo delle telco, senza mai diventare una di loro”.
Le prime incognite
“Pur sperimentando continuamente nuovi servizi e pagamento o accessibili in modalità freemium“, sostiene Noseda, “per anni l’unica fonte di ricavi costante di Skype sono rimaste le tariffe applicate sulle chiamate verso i numeri fissi e i cellulari, a una frazione del costo applicato dagli operatori tradizionali. In questo contesto, è stata proprio la decisione di aumentare i costi e accelerare la crescita dei ricavi che ha portato, nel giro di pochissimo tempo, alle prime difficoltà: i successivi proprietari dell’azienda hanno lavorato per trasformare un prodotto rivoluzionario in crescita esponenziale in uno strumento di guadagno immediato, senza riuscire a valorizzare nel lungo termine l’enorme vantaggio tecnologico e di customer base accumulato sugli altri competitor.
I passaggi di proprietà e l’inizio del declino
“Venduta a eBay nel 2005 in quella che rappresentò la più grande acquisizione nel post dot com bubble, a Silverlake Partners, Index Ventures e Andreessen Horowitz nel 2009 e infine a Microsoft nel 2011 per 8,5 miliardi di dollari, la società è andata incontro a un continuo e irreversibile declino”, ricorda Noseda.
“I repentini passaggi di proprietà nell’arco di pochi anni, con un orizzonte strategico via via più limitato ai risultati di breve periodo, ne hanno frustrato le ambizioni di crescita esponenziale e i processi di innovazione continua. Skype ha mancato l’appuntamento con la svolta mobile first delle piattaforme digitali e la sua chiusura definitiva è diventata, a quel punto, solo questione di tempo. Io ero già uscito dall’azienda, dieci anni esatti dopo il mio ingresso”.
Via dall’Europa
Continua Noseda: “in questo malinconico epilogo c’è una costante che spicca subito agli occhi: la continua, inesorabile fuga di asset lontano dall’Europa. Se fosse rimasta “europea”, Skype avrebbe potuto ragionevolmente aspirare a diventare la prima, vera big tech del continente, con un impatto significativo sui tempi e le modalità di sviluppo dell’intero ecosistema. Eppure, il travaso di capitali, dati e tecnologia al di là dell’Atlantico ha comunque lasciato dietro di sé un’eredità che sarebbe sbagliato ignorare o sottovalutare: la legacy di Skype in Europa ha contribuito, attraverso l’effetto di cross fertilisation, alla nascita di oltre 900 start up create dai suoi ex dipendenti, di cui alcune diventate in seguito unicorni.
Una lezione per le prossime start up
“Skype”, sostiene Noseda, “è la dimostrazione che nulla deve essere dato per scontato, o irrimediabilmente perduto. Idee, talenti, intuizioni capaci di cambiare radicalmente la vita di milioni di persone possono nascere anche in Europa, e solo una serie di fattori impedisce a queste soluzioni di affermarsi senza essere costrette a emigrare altrove. Se Skype dovesse rinascere oggi, in un ipotetico 2025, troverebbe paradossalmente ancora molti degli ostacoli con cui si era dovuta scontrare 20 anni fa: accesso limitato ai finanziamenti, mancata armonizzazione delle normative, scarsità di investitori privati disposti a investire su start up e scale up europee”.
La burocrazia non aiuta
Un bel problema. “In questo ipotetico scenario”, dice infatti Noseda, “Skype si troverebbe a operare in un mercato unico incompleto, dove le procedure di costituzione delle società, la tassazione e le modalità di assunzione del personale restano diverse da paese e paese, in attesa che prenda forma quel “28esimo regime” per le imprese europee annunciato nella bussola della competitività e a cui molti, oggi, guardano con attenzione. La semplificazione dei processi di Ipo, la nascita di una Borsa europea per la tecnologia e le scale up, le esenzioni fiscali e gli incentivi agli investimenti transfrontalieri, in questo contesto, sono tutti passi necessari affinché un’azienda del potenziale di Skype possa, in futuro, nascere e radicarsi in Europa”.
Perché no?
Tuttavia, riconosce Noseda, “lo scenario di partenza era tutto fuorché favorevole: Skype è nata in un momento storico in cui non esistevano gli smartphone, le persone non erano ancora abituate a usare il computer come strumento di comunicazione vocale, le risorse per il sostegno all’innovazione erano ancora più scarse rispetto a oggi e l’onda lunga della bolla delle dot com non si era ancora esaurita. Perché non dovrebbero nascere altre aziende europee dotate della stessa visione e della stessa capacità di crescita? Perché non dovremmo lavorare per consentire a queste aziende, e ai giovani che le realizzeranno, di costruirsi un futuro in Europa? L’augurio, che faccio prima di tutto a me stesso, è che questo 5 maggio non sia solo un giorno di ricordi, ma anche un primo passo per costruirne di nuovi. Per tutti, in tutto il mondo”.